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Lo schiaffo di Justin Bieber e i graffiti di Bogotà

Bogotà è una città, grande, caotica, grigia ma è anche una grande narratrice: sa raccontare storie di ingiustizia, di denuncia sociale e di speranza. E lo fa, soprattutto, attraverso i suoi graffiti.

Una delle storie che più ci ha fatto pensare, nella sua semplicità, è stata quella che vede come protagonista Justin Bieber.
Nel 2013 il famosissimo cantante canadese si trovava in Colombia, a Bogotà, per un concerto; esce dall’hotel e decide di improvvisarsi writer, ignaro di tutto il dibattito che si sarebbe scatenato poi.
Non è stato quello che ha disegnato sul muro (o forse si, dato che il disegno era un po’ bruttino: una foglia di marijuana associata alla bandiera canadese) ma soprattutto il fatto che mentre realizzava questa “magnifica opera d’arte” fosse scortato dalla polizia. La stessa polizia che, due anni prima, in una notte d’estate – in circostanze molto discusse –  sparò e uccise Diego Felipe Becerra, un sedicenne che stava facendo la stessa cosa che faceva Bieber. Il ragazzo famoso protetto e il ragazzo comune ucciso: non suona solo strano, suona triste.
Per il mondo dei writers, e non solo, fu come ricevere uno schiaffo, uno sgambetto, un pugno in pancia. Dopo la rabbia, però, si resero conto della grande opportunità che gli era stata regalata: arrivarono infatti 300 artisti e, in 24h ricoprirono il muro proprio dove Justin Bieber aveva lasciato il segno.

“We worked until dawn, giving our bodies and souls. We worked with discipline, devotion and energy, sharing our little money to complete a work that can never be taken away. Because of what Justin Bieber sparked, we became aware of ourselves, of the fact that we are a movement; we became aware of our own rights.”
ITA: “Abbiamo lavorato fino all’alba, dando anima e corpo. Abbiamo lavorato con disciplina, dedizione ed energia, condividendo i nostri pochi soldi per completare un lavoro che non potrà mai essere portato via. Grazie a quello che Justin Bieber ha scatenato, abbiamo preso consapevolezza di noi stessi e del fatto che siamo un movimento; abbiamo preso consapevolezza dei nostri diritti.” – Don Popo, cantante hip hop e fondatore di Familia Ayara, un’associazione che attraverso l’hip hop vuole cambiare il mondo.

Quest’onda di giustizia, arte, colori, riscatto non si fermò a Bogotà ma si diffuse in altre grandi città della Colombia facendo capire il vero scopo, la vera essenza di ogni graffito: essere un grido di libertà, simbolo di cambiamento e di desiderio di far riconoscere il graffitismo come arte in una società più tollerante verso le diverse forme di espressione.

Dj Lu, graffiti a Bogotà, ColombiaGraffiti a Bogotà – DjLu

Aneddoti curiosi e significativi a parte, Bogotà è davvero piena di graffiti! Noi, dopo aver cercato di capire dove finisse la città dal cerro di Monserrat, abbiamo partecipato al Graffiti tour con un giovane ragazzo del posto che ha saputo dare colore a questa grande metropoli.

 

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